domenica 17 settembre 2017

1°) Marco Travaglio - Il Piano Solà...( assolutamente da leggere, ci sono in ballo le "istituzioni"!)

Marco Travaglio

di Marco Travaglio

Direttore de Il Fatto Quotidiano e scrittore




  | 16 settembre 2017
Facciamo finta che un ufficiale dei Carabinieri, il capitano Giampaolo Scafarto, indaghi su un traffico di rifiuti. E raccolga pesanti prove sulle persone più vicine a un personaggio molto noto, Caio Sempronio: non solo intercettazioni, ma addirittura il pizzino scritto da un imprenditore con cifre di 30 mila euro al mese e 5 mila euro a bimestre con accanto le sigle del padre di Sempronio e del di lui compare, più richieste di 2 milioni per salvare il giornale di Sempronio, in cambio di raccomandazioni e incontri col braccio destro e il braccio sinistro di Sempronio. Il carabiniere si convincerà che nel traffico di rifiuti c’entri pure Sempronio. E, felice per la svolta della sua indagine, la confiderà a un pm con cui lavora da un anno: “Scoppierà un casino. Arriviamo a Sempronio”. Il pm si congratulerà con lui, raccomanderà prudenza, lo spronerà ad andare fino in fondo senza guardare in faccia nessuno. E, quando la storia verrà fuori, il carabiniere riceverà applausi ed encomi, mentre le tv si contenderanno la storia per girarci una fiction...

La scena appena descritta pare si sia verificata nel settembre 2016 fra il capitano del Noe Giampaolo Scafarto e il pm di Modena Lucia Musti. Ma non riguarda un traffico di rifiuti, bensì un traffico d’influenze con tangenti incorporate, a carico di una gang sospettata di voler truccare la gara Consipper il più grande appalto d’Europa (2,7 miliardi). Poi ci sono soffiate e favoreggiamenti. E l’entourage coinvolto non è quello di Caio Sempronio, ma di Matteo Renzi. Che è il minimo comune denominatore di tutti i protagonisti: il padre Tiziano, il fido Carlo Russo, l’imprenditore e finanziatore Alfredo Romeo, l’ad di Consip Luigi Marroni, il ministro Luca Lotti, l’ex consigliere Filippo Vannoni, gli amici generali Del Sette e Saltalamacchia.
Quindi il finale della storia è diametralmente opposto. Il 17 luglio la pm Musti denuncia Scafarto e il suo ex capo Sergio De Caprio “Ultimo” al Csm (che non ha alcun potere su di loro: tutta acqua al mulino di chi vuole cacciare il pm Woodcock). Svela due colloqui privati: con Ultimo nella primavera 2015 su Cpl Concordia e con Scafarto nel settembre 2016 su Consip. Dipinge i due come “esagitati”, “spregiudicati”, in “delirio di onnipotenza”, e il secondo come autore di “informative scritte coi piedi” su “chiacchiere da bar”. Ma non spiega perché non segnalò 30 mesi fa quelle orrende condotte ai vertici dell’Arma, ma continuò a lavorare con il putribondo figuro e attese le controindagini e la campagna renziana per esultare (“Finalmente l’hanno preso”) e vuotare il sacco a scoppio ritardato.
Così ora le sue parole – dopo tante allusioni di Renzi, molto informato sui fatti segreti – vengono usate da ministri e politici di ogni colore per accusare il Noe di complotto anti-Renzi, colpo di Stato, un nuovo Piano Solo con tintinnio di sciabole, in combutta con i pm di Napoli che hanno scoperto lo scandalo e al giornale (uno a caso) che l’ha rivelato; e per occultare le prove sull’appalto truccato e le soffiate istituzionali che hanno rovinato l’indagine e salvato gli indagati dalla galera.
Ma che c’entrano i due ufficiali con la pm di Modena? Nel 2015 la Procura di Napoli le trasmette per competenza un filone dell’inchiesta sulla coop emiliana Cpl Concordia, sospettata di pagare mazzette e di avere rapporti con la camorra. Inchiesta seguita direttamente da Scafarto e coordinata dall’allora vicecomandante De Caprio, che dunque incontrano la Musti, assegnataria del fascicolo, per i normali scambi di informazioni sulle indagini da compiere. Ora, due anni dopo, la pm si accorge improvvisamente che gli ufficiali volevano metterla sotto pressione con la frase “Se vuole ha una bomba in mano e può farla esplodere”, solo perché sottolineavano gli alti ambienti coinvolti (si parlava di D’Alema, dell’ex fondazione di Minniti, dei rapporti Pd-coop rosse) e l’esigenza di non fermare le indagini. All’epoca non disse niente a nessuno, ma ora si sente coartata fuori tempo massimo e riferisce tutto al Csm. E aggiunge una circostanza, anch’essa del tutto neutra: nel faldone arrivato da Napoli erano rimaste le intercettazioni captate fra il generale della Gdf Michele Adinolfi(prima indagato e poi archiviato) e l’allora segretario Pd Renzi alla vigilia della salita a Palazzo Chigi. Conversazioni penalmente irrilevanti e già segretate da Woodcock, anche se poi le pubblicò il Fatto perché i pm (non Woodcock: altri) non le avevano espunte da un fascicolo in mano agli avvocati.
Ora i giornaloni insinuano che i diabolici Scafarto e De Caprio le abbiano allegate appositamente al dossier spedito a Modena per farle uscire e screditare il povero Matteo: peccato che il Fatto le abbia scoperte per tutt’altra via, e cioè da un fascicolo depositato alle parti a Napoli e dunque non segreto; e che quattro sottufficiali del Noe a suo tempo indagati per rivelazione di segreto siano già stati archiviati (a proposito di fughe di notizie: il verbale della Musti davanti al Csm è segretissimo, eppure ieri, appena trasmesso alla Procura di Roma, è finito su Corriere, Repubblica eMessaggero: chi è l’autore di questa fuga di notizie? E qualcuno indagherà, anche se non c’è di mezzo il Fatto?).
Un anno fa, poi, la pm Musti incontra di nuovo Scafarto del Noe, di cui evidentemente continua a fidarsi malgrado le terribili minacce del 2015, sempre per il prosieguo delle indagini sulla coop. E lì il capitano le confida di un’altra indagine con i pm di Napoli. Lei, secondo i giornali, sostiene di aver sentito: “Scoppierà un casino, arriviamo a Renzi” (non – si badi bene – “Vogliamo arrivare a Renzi”, come traducono i fantasiosi fautori dell’accanimento inquisitorio e della congiura). De Caprio nega di aver mai parlato di “bombe” su Renzi e di averlo mai nominato. Scafarto nota di non essere mai stato indagato a Modena per quella presunta violazione del segreto. In ogni caso, dire che l’inchiesta portava a Renzi non era ammettere un complotto, ma comunicare un dato di fatto, alla luce della lettura data dal Noe delle prove raccolte nell’ultimo mese.
Il 3 agosto 2016 Carlo Russo parla con Romeo, che gli chiede un incontro con Tiziano Renzi per un aiutino in Consip. Il 31 agosto, il 7 e il 13 settembre i due si rivedono per parlare di un “accordo quadro” per arrivare a Renzi e dunque a Consip tramite babbo Tiziano e Lotti. Il 14 settembre Romeo verbalizza in un pizzino (e poi in un altro) l’“accordo quadro” stipulato con Russo: darà 400 mila euro all’anno a T. e a C.R. (oltre ai 2 milioni circa chiesti da Russo per salvare l’Unità, organo del Pd di Renzi). Che dovevano dedurre, gli inquirenti, se non che l’inchiesta poteva portare a Renzi? Che i due ufficiali abbiano nominato o meno Renzi con la pm, non cambia nulla: a parte l’imprudenza, che avrebbero potuto e dovuto risparmiarsi, non c’è nulla di scandaloso nel dire una verità – per quanto segreta – a un pm con cui si lavora, peraltro tenuto al segreto investigativo. E quella frase, qualunque essa sia, non sposta di un millimetro le prove raccolte nell’inchiesta Consip (quella vera): i pizzini di Romeo (ritenuti autentici dal Riesame tre giorni fa); la tangente di 100 mila euro pagata da Romeo al dirigente Consip Gasparri (che l’altroieri ha patteggiato 20 mesi e restituito la somma); le testimonianze del dirigente Pd Alfredo Mazzei e dell’ex sindaco Pd di Rignano, Daniele Lorenzini, su un incontro fra Romeo e Tiziano (che, al telefono con Matteo, non esclude di aver visto Romeo “al bar”); la testimonianza di Marroni sui “ricatti” subiti da Tiziano e Russo per favorire Romeo nel mega-appalto e sulle soffiate di Vannoni, di Del Sette, di Lotti e di Saltalamacchia; e la coda di paglia lunga chilometri di babbo Tiziano che, avvertito dal solito uccellino, smise di telefonare e addirittura iniziò a parlare con gli amici solo nel bosco di Rignano, lontano da telefonini e Trojan Horse.
Se qualcuno ha complottato contro Renzi, sono i suoi cari, non i carabinieri. Finirà che ha ragione, a sua insaputa, Matteo Orfini: “Questo è il Watergate italiano”. Solo che nel Watergate americano lo scandalo erano i traffici del potere; gli inquirenti che lo scoprirono e i giornalisti che lo svelarono furono premiati; e il presidente Nixon se ne andò. Qui, dopo Marroni (l’unico non indagato), vogliono far fuori i carabinieri, i pm e i giornalisti per salvare inquisiti & compari. Più che il Piano Solo, il Piano Sòla.---

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